Marco Boato - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||
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Trento, 25 febbraio 2011 Dal 2 febbraio 2011, a distanza di 22 anni e mezzo da quell’orribile crimine mafioso, si sta celebrando di fronte alla Corte d’assise di Trapani il processo per l’omicidio di Mauro Rostagno, che vede come imputati il mandante Vincenzo Virga ed il killer Vito Mazzara,e come parti civili la figlia Maddalena e la compagna Chicca Roveri, insieme ad altri familiari e ad enti ed associazioni. Nella primavera 2010 la regista Adriana Castellucci di Torino (città natale di Mauro) aveva messo in scena una pièce teatrale “Un uomo vestito di bianco” dedicata alla figura di Rostagno nelle varie fasi della sua vita, mentre nel settembre 2010 Nico Blunda, Marco Rizzo e Giuseppe Lo Bocchiaro hanno pubblicato (editore Becco Giallo) un volume a più voci, intitolato “Mauro Rostagno. Prove tecniche per un mondo migliore”, con una splendida prefazione di Adriano Sofri.Vari altri libri su di lui erano stati del resto pubblicati a partire dagli anni ’90 (qualcuno di questi però da dimenticare, per aver pienamente avallato i più terribili depistaggi sul suo omicidio). Mauro Rostagno ha cominciato a ricevere giustizia soltanto a 21 anni dal suo omicidio per mano di mafia,avvenuto alle 20.10 del 26 settembre 1988, mentre rientrava nella comunità “Saman” di Lenzi di Valderice dopo aver realizzato il suo ultimo servizio televisivo a RTC, una emittente locale di Trapani. Finalmente, soltanto nel maggio 2009 il boss mafioso di Trapani Vincenzo Virga e il killer professionale (autore di altri quattro omicidi di mafia) Vito Mazzara (entrambi già pluricondannati e detenuti per delitti di mafia) hanno ricevuto un ordine di custodia cautelare per l’omicidio di Mauro Rostagno, individuati il primo come mandante e il secondo come esecutore (ma del “gruppo di fuoco” assassino facevano parte almeno altri due mafiosi, ancora non individuati). L’ordine di custodia cautelare era stato emesso sabato 23 maggio 2009 dal GIP Maria Pino su richiesta dei PM della DDA di Palermo Antonio Ingroia e Gaetano Paci, sulla base delle indagini condotte negli ultimi due anni dal capo della squadra mobile di Trapani Giuseppe Linares e della perizia balistica realizzata da Manfredi Lo Presti, capo del gabinetto regionale di polizia scientifica di Palermo. Che si fosse trattato di un omicidio di mafia, l’avevano già confessato alcuni “pentiti”, tra i quali Vincenzo Sinacori e Antonio Patti. Sinacori aveva assistito a Castelvetrano ad un incontro tra i boss mafiosi Francesco Messina Denaro e Francesco Messina (entrambi poi deceduti), nel corso del quale veniva dato ordine alla mafia trapanese di Vincenzo Virga di far tacere per sempre la voce libera e coraggiosa di Mauro Rostagno.Del resto, già qualche tempo prima, mentre Rostagno seguiva il processo al vecchio boss Mariano Agate,quest’ultimo aveva inviato a Mauro un vero e proprio “avvertimento” mafioso, dicendo in siciliano ad un cameraman: “Dì a quello con la barba che non dica minchiate”. Un altro “pentito”, Giovanni Brusca, ha riferito di aver ascoltato da parte del boss Totò Riina parole di soddisfazione per l’omicidio di Rostagno (“Si levarono sta camurria”).Con assoluta semplicità e immediatezza i magistrati hanno scritto: “Muovendo forti ed esplicite accuse nei confronti di esponenti di Cosa Nostra e richiamando in termini di speciale vigore l’attenzione dell’opinione pubblica, Rostagno aveva toccato diversi ‘uomini d’onore’ e generato un risentimento diffuso nell’ambito del contesto criminale in argomento”. Dunque, ci sono voluti 21 anni per arrivare finalmente a individuare la matrice mafiosa dell’omicidio di Mauro Rostagno. E di ciò va comunque dato grande merito ai magistrati e alla polizia giudiziaria, che hanno indagato negli anni 2007-2009 e che sono arrivati a questa conclusione, la quale ora, dal 2 febbraio, viene finalmente sottoposta al vaglio processuale di fronte alla Corte d’assise di Trapani (con un quadro probatorio assai rigoroso e con una perizia balistica inoppugnabile). Ma nei due decenni precedenti era davvero successo di tutto per impedire l’accertamento della verità e per depistare le indagini (come era già accaduto per l’omicidio di Peppino Impastato, assassinato il 9 maggio 1978, dieci anni prima di Mauro). Soltanto la tenacia e la determinazione di Maddalena Rostagno e degli antichi e nuovi amici di Mauro, che con l’associazione “Ciao Mauro” si erano rivolti (con un documento sottoscritto da diecimila cittadini) anche al Presidente della Repubblica, chiedendo di non archiviare le indagini con un nulla di fatto, hanno permesso di arrivare a questo esito, commentato da loro giustamente con queste icastiche parole: “Cancellati decenni di depistaggi, inerzie e cialtronerie varie”. Che si fosse trattato di un omicidio di mafia era stato, infatti, evidente fin dall’inizio. Io stesso l’avevo proclamato ad alta voce di fronte a migliaia di cittadini nell’orazione funebre che, per incarico dei familiari, avevo tenuto durante la manifestazione civile di fronte alla bara di Mauro, dopo il funerale religioso nella cattedrale di Trapani, nel corso del quale mons. Agostino Adragna aveva anch’egli con forza denunciato la matrice mafiosa, in una appassionata e memorabile omelia. Identica posizione aveva assunto anche Claudio Martelli - uno dei pochi politici italiani (insieme a Gianfranco Spadaccia) presenti al funerale di Trapani -, il quale per questo motivo era addirittura stato indagato per “depistaggio”. E la stessa convinzione sulla matrice mafiosa dell’omicidio Rostagno aveva avuto fin dall’inizio anche il vicequestore della Polizia di Stato Rino Germanà, che poi nel 1992 scampò a sua volta a un tentato omicidio di mafia e dovette lasciare la Sicilia. Ma purtroppo in direzione opposta erano andati i carabinieri del maggiore Nazareno Montanti e del capitano Elio Dell’Anna e successivamente il PM di Trapani Gianfranco Garofalo, che arrivò nel 1996 persino a far incarcerare la compagna di Mauro, Chicca Roveri, accusandola in modo totalmente pretestuoso di essere complice degli assassini. Nello stesso l996, da deputato verde dell’Ulivo, avevo denunciato alla Camera dei deputati la gravità del comportamento e delle dichiarazioni del PM Garofalo, tanto che l’allora ministro della Giustizia del Governo Prodi, Giovanni Maria Flick si era impegnato ad aprire un procedimento disciplinare, cosa che poi purtroppo non ebbe il coraggio di fare (di tutto questo aveva scritto allora anche Franco Corleone sul “Manifesto”, essendo sottosegretario alla Giustizia dello stesso Flick). Cercando prima di attribuire l’omicidio di Rostagno ai suoi ex-compagni di Lotta Continua (accusa miserabile e immonda, naufragata ovviamente nel nulla, ma coltivata in particolare dal cap. Dell’Anna e anche dall’avv. Luigi Li Gotti nel “processo Calabresi” a Milano) e poi di infangare, fino ad arrestarla, la compagna di Mauro, era come se si tentasse di uccidere Rostagno per la seconda volta. Se ne negava l’identità umana e politica, cancellando la causa reale ed evidente del suo sacrificio: il suo impegno militante a RTC nella denuncia quotidiana della mafia e delle connivenze politico-mafiose (che l’avevano condotto anche ad un rapporto diretto col magistrato Giovanni Falcone, un’altra vittima della mafia nel 1992 con la strage di Capaci). In quel terribile 1996 Rossana Rossanda scrisse: “Non diceva Rostagno di non volere un ghetto d’oro in un mondo di merda? D’oro non ha avuto nulla. Del resto, gliene rovesciano addosso, a lui e ai suoi, a palate”. Provate ad immaginare quale “via crucis” abbiano attraversato sia Chicca Roveri, sia sua figlia Maddalena Rostagno, che aveva 16 anni quando suo padre è stato assassinato e che non ha mai abbandonato la lotta per ottenere verità e giustizia (una sua lunga intervista è stata pubblicata nel libro di Antonella Mascali, “Lotta civile. Contro le mafie e l’illegalità”, Chiarelettere, Milano, 2009). Giustamente il “Corriere della Sera” del 3 febbraio 2011, ha così intitolato un ampio articolo di Felice Cavallaro sull’inizio del processo di Trapani: “La vittoria di Maddalena riapre il processo Rostagno”. Una ricostruzione puntuale e dettagliata di tutte queste vicende era stata pubblicata da Enrico Deaglio nella rivista “Diario” del 15-26 giugno 2008 e da Adriano Sofri sul “Foglio” del 19 giugno 2008, oltre che da Sara Menafra e Chiara Pazzaglia su “Alias” del 13 settembre 2008. Già quasi tre anni fa, dunque, avevano cominciato a delinearsi i contorni di quella indagine, che ora ha condotto a questa fondamentale tappa giudiziaria, con il rinvio a giudizio di Vincenzo Virga e Vito Mazzara e con il processo che si sta celebrando dal 2 febbraio 2011 di fronte alla Corte d’assise di Trapani. Nel dare notizia della prima fondamentale tappa, con l’emissione dei due ordini di custodia cautelare per l’omicidio Rostagno, tutti i quotidiani del 24 maggio 2009 avevano ricordato la straordinaria biografia di Mauro Rostagno e, in particolare, sia il suo ruolo di leader del ’68 trentino, sia il suo essere stato uno dei principali protagonisti dei movimenti italiani degli anni ’60 e ’70, fino all’esperienza della comunità “Saman” a Lenzi di Valderice e al ruolo di protagonista dell’informazione antimafia nella televisione RTC di Trapani. Ora si capisce ancor meglio il merito del prof. Vincenzo Calì di aver fatto intitolare, subito dopo la sua morte, a Mauro Rostagno il “Centro di documentazione” presso il Museo Storico di Trento, di cui allora Calì era direttore, perché rimanesse per sempre intestata a lui la memoria collettiva dei movimenti che hanno attraversato e caratterizzato la storia di quei decenni. Nel febbraio 1988 nella Facoltà di Sociologia di Trento si era svolto l’incontro dedicato al ventennale del ’68 (“Bentornata utopia”), nel corso del quale Rostagno era stato per l’ultima volta a Trento, ritrovando i suoi antichi compagni, ancora carico di carisma, entusiasmo, umanità e impegno civile. Ora che la verità giudiziaria torna finalmente a coincidere con la verità storica e che infamie e deliranti depistaggi sono stati spazzati via, sarebbe un atto, pur tardivo, di giustizia umana, prima che processuale, che quanti hanno detto e scritto queste infamie riconoscessero pubblicamente le proprie responsabilità di fronte alla memoria di Mauro Rostagno, che è stato uno dei più straordinari protagonisti dei grandi movimenti collettivi degli anni ’60 e ’70, da Torino a Trento a Milano, e che da Palermo a Trapani ha lasciato un segno altrettanto profondo nella Sicilia degli anni ’80, fino alla sua tragica morte per mano mafiosa in quel 26 settembre 1988, ad appena 46 anni. Marco Boato
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